foto di Saverio Barbaro |
L’acqua riempiva ogni vallone ed il fiume cavalcava l’intera vallata.
Il torrente, che sgorgava abbondante tutti gli anni, alimentava un susseguirsi di
più di tredici mulini che macinavano grano a ritmo continuo. L’industria della
seta trovava qui il suo terreno più fertile. In ogni contrada si allevavano
bachi da seta ed ogni contadino, che possedeva dei gelsi, arrotondava così le
proprie entrate. La seta stessa poi, lavorata in un apposito battitoio di
imponenti dimensioni, l’unico della valle, veniva venduta ai mercanti e vestì i
nobili di mezza Europa per più di duecento anni.
La povera gente, invece, soleva vestirsi con capi di lana o
di orbace (un tessuto ricavato dagli scarti della lana e dalla ginestra) realizzati
con abile maestria dalle donne più esperte.
Nelle occasioni più importanti si
sfoggiavano i vestiti più belli che si possedevano, i cui colori
particolarmente sgargianti divennero, e lo sono ancora, famosi in tutta la
provincia. Si usava danzare per ore e ore, e quando ci si riposava, i più abili
cantastorie, si esibivano in gare di rime e di terzine rievocando l’antica e
mai dimenticata arte omerica della poesia!
Le nostre donne erano vantate, per le loro abilità nel ballo
e nel canto, in tutti i casali della regione e molti scritti a proposito, lo
testimoniano. Erano anche delle instancabili nutrici ed a loro venivano
affidati i figli delle persone più ricche affinché facessero loro da balie. Il
loro petto abbondante era sinonimo di salute e di un benessere che erano in
grado di trasmettere ai lattanti.
Le più giovinette camminavano per miglia, con i panieri in
testa sul cercine, per vendere i prodotti della terra alle fiere settimanali
che si svolgevano a fondo valle!
Ed anche lì erano le più ricercate! La bontà dei nostri
prodotti era decantata in ogni angolo della città!
La natura con noi era stata veramente magnanima!
Oltre ai parroci ed ai ditterei delle tre
chiese del paese, una delle quali era ornata da un bellissimo quadro della
Madonna, abitavano la valle anche delle
monache ortodosse eremite. Si dice che fossero qui dall’anno mille e vi
resistettero fino alla fine del XVI secolo! Poi, le ultime due rimaste, insieme
alla loro badessa, lasciarono spazio ai monaci cattolici. Il loro piccolo
convento era meta di pellegrinaggio per i Casali vicini. In tutta la provincia
vi erano solo altre cinque abazie dello stesso ordine. Alle porte del paese,
invece, sorgeva una piccola abazia il cui canonico, di famiglia nobile, era un
illustre ed influente personaggio della città capoluogo. La chiesa, di cui era
l’abate, fu, addirittura, la prima commenda di un famoso Ordine di Cavalieri
Gerosolimitani di tutto il Regno! Più di 1400 pecore e 60 vacche pascolavano
nelle terre qui vicine e numerosi erano i popolani che lavoravano nelle terre
di sua proprietà.
Sopra quest’ultima abazia dominava, in posizione panoramica,
una torre di tre camere sovrapposte, la cui vista arrivava fino al mare!
Risalendo la vallata, invece, il corso del
fiume diveniva più aspro ed una famosa strada (la chiamavano Dromo), che veniva dalla costa, si
congiungeva con quella che era la strada più usata dai mercanti cittadini per raggiungere
gli altopiani d’Aspromonte. Si risalivano le cime per tagliare la legna di
boschi inesauribili o fare dei carichi di neve. Si proprio così, si vendeva
persino la neve!! I tronchi dei nostri boschi rifornivano i cantieri navali del
Regno e le forniture di neve erano richieste anche oltre mare.
Si parlava un’altra lingua, allora!
In tutti i sensi!
Conservavamo ancora un avito linguaggio che i nostri padri
avevano raccolto in eredità dai nostri nonni, che a loro volta lo avevano
appreso dai loro padri, e cosi via dicendo a ritroso per secoli e secoli!!!
Eravamo sopravvissuti a calamità di ogni tipo! Terremoti,
epidemie, alluvioni, carestie, morbi! Avevamo subito di tutto e nonostante ciò eravamo sempre sopravvissuti!
Oggi i terrazzani, i massari, i vaticali, le nutrici, le
balie, i cantastorie non ci sono più! Le terre sono abbandonate, i vecchi
borghi paiono cimiteri, i gelsi sono quasi estinti, gli alberi di noce
irraggiungibili per l’erba alta, i vigneti incolti, gli ulivi non curati e di grano
non se ne macina più!
I conventi hanno fatto spazio a costruzioni nuove, le vecchie
case in pietra al cemento armato ma soprattutto la rassegnazione all’entusiasmo
ed il ricordo di questa splendida storia durata un millennio pare sia svanito
in poco meno di due generazioni!”
Questa storia è la nostra!
RIPRENDIAMOCELA!
di Francesco Trunfio
di Francesco Trunfio
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